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Tradurre uguale Tradire?

Questo curioso binomio sintetizza perfettamente uno dei più consolidati paradossi della comunicazione globale. Per comprendere a fondo tale questione, è necessario accettare il presupposto che una traduzione fedele al 100% è difficilmente realizzabile, poiché l’elaborato finale sarà sempre leggermente diverso dall’originale.

Tradurre senza tradire non è facile e sono in tanti a ritenere che non si possano trasferire parole ed espressioni da una lingua all’altra. 

I punti di vista sono molteplici: alcuni, ad esempio, ritengono che il lavoro del traduttore è molto simile a quello del copista che riproduce una scrittura. 
Al contrario, chi traduce poemi, liriche e prosa di stile elevato, è tenuto a conoscere l’uso della parola in uno specificato contesto estetico, quindi, deve poter armonizzare il proprio elaborato ad uno stile e ad un determinato linguaggio. Tuttavia, rispetto alle opere letterarie originali il testo tradotto ha sempre un’essenza diversa. 

C’è chi sostiene che tradurre significa in qualche modo “riscrivere” un testo. Ecco perché alcuni ritengono che chi traduce narrativa o poesia deve essere anche uno scrittore o un poeta. La realtà dei traduttori è quella di dover censurare le parole intraducibili o di crearne ex novo, dando vita ad una traduzione che richiede la stessa abilità e creatività possedute dall’autore originario. 

A tale proposito è utile considerare l’etimologia del termine “tradurre”: “TRADÚRRE contratto dal latino TRADÚCERE significa far passare, da TRANS al di là, e DÚCERE condurre. Condurre qualcuno da un luogo all’altro, far passare un’opera da una lingua in un’altra; tradurre significa dunque “rendere un significato disponibile“. E visto che i confini tra le parole non sono stabili, tradurre è un’operazione al limite tra il tradimento del significato originale e il senso che noi attribuiamo a quella parola. 

Anche per le trasposizioni cinematografiche di opere letterarie valgono questi presupposti e in tal senso il regista Ricky Tognazzi afferma: “Mah sai, tradurre è un po’ tradire, forse le due parole hanno anche la stessa etimologia. Quando ti ritrovi di fronte ad un’opera già compiuta, sei davanti all’imbarazzo creato dal fatto che se da un lato il linguaggio di un film e quello di un romanzo hanno forme ed esigenze diverse, dall’altro il rispetto per quel libro – che ti è piaciuto perché vuoi farci un film – t’impedisce di cambiarlo…”.

Tradurre è essenzialmente trasmettere il messaggio senza modificarlo, bensì restituirlo fedelmente, ma in una veste locale. Il traduttore ha essenzialmente due anime: il linguista e lo stilista. Tradurre è quindi sempre un po’ tradire. Curiosità e distacco sono due parole-chiave di questo mestiere: la curiosità di chi si pone prima di tutto come lettore attento davanti a un messaggio e il distacco di chi lo deve trasferire ai lettori mantenendo il più possibile il suo ritmo e i suoi sapori. Ecco perché tradurre è prima di tutto una sfida.

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